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La sindrome Long-Covid: possibili sequele e l’importanza della prevenzione multi-livello.

Posted on Febbraio 2, 2023Febbraio 6, 2023

Spossatezza, dolori e diversi possibili “strascichi” a livello fisico, visivo, emotivo e cognitivo. Questi e altri sintomi possono essere riscontrabili, talvolta anche per mesi, in persone che hanno avuto un’ infezione da COVID-19 (non necessariamente di grave entità).

Il presente articolo divulgativo, scritto in collaborazione con la Dottoressa Francesca Bosinelli -Psicologa, Psicoterapeuta, Specialista in Neuropsicologia- vuole offrire una breve panoramica sullo stato dell’ arte in materia (con particolare attenzione ai possibili esiti sul piano visivo e su quello cognitivo ed emotivo) e sensibilizzare i lettori rispetto all’ importanza della prevenzione e, quando necessario, di un intervento precoce sui sintomi da sindrome Long-COVID.

La pandemia da COVID-19 ha impattato ogni aspetto delle nostre vite, con importanti conseguenze sulla nostra vita sociale, scolastica e lavorativa. Tutti noi conosciamo fin troppo bene l’ evolversi della situazione epidemiologica in Italia, a partire dal riscontro dell’ infezione nel cosiddetto “Paziente Zero”.

Diversi Autori hanno sottolineato i possibili effetti negativi della situazione pandemica sulla salute mentale della popolazione: in particolare, molte persone sono state travolte da una moltitudine di emozioni e di sintomi che (in una certa misura) rappresentano conseguenze fisiologiche della situazione eccezionale in cui ci siamo ritrovati catapultati: ansia, frustrazione, tristezza e senso di impotenza, difficoltà di concentrazione, “languishing” e “pandemic fatigue” ((WHO), 2020; Ferrucci et al., 2021; Willen, 2022).

Inoltre, bambini e adolescenti hanno pagato uno scotto ancora maggiore, con frequenti comportamenti regressivi, disturbi del sonno, angoscia ed irritabilità (Vicari & Di Vara, 2021). In alcuni casi, le persone hanno sviluppato dei veri e propri disturbi: disturbi d’ ansia, disturbi dell’ umore e disturbo post-traumatico da stress sono le condizioni maggiormente documentate (Cascella & De Blasio, 2022b).

Spesso, inoltre, chi già soffriva di un disturbo è andato incontro ad un peggioramento delle proprie condizioni cliniche o ad una ricaduta: si pensi, ad esempio, ai pazienti con disturbi della condotta alimentare, disturbi dell’ umore e disturbi psicotici (Dell’Osso et al., 2021).

Considerando anche ulteriori fattori stressanti associati, quali l’ instabilità economico-finanziaria, la difficoltà di accedere alle misure di supporto sociale o la paura di essere contagiati (fino al cosiddetto “effetto del capro espiatorio”, ossia la tendenza ad ostracizzare le persone che si sono ammalate di COVID-19), diversi Autori hanno sottolineato come la situazione pandemica costituisca un vero e proprio problema di salute pubblica, con possibili effetti a livello dei singoli (soprattutto se bambini), delle famiglie, delle comunità e della società stessa, spalmati nel breve, nel medio e nel lungo termine (Cascella & De Blasio, 2022a; Ferrucci et al., 2021; UNICEF, 2020). Per approfondire, si veda la Figura 1.

Figura 1: possibili effetti negativi multilivello della pandemia (fonte: UNICEF, 2020)

Da un altro punto di vista, però, la pandemia da COVID-19 ha rappresentato un’ opportunità di crescita personale e di promozione della resilienza (ossia della capacità di far fronte agli eventi stressanti) in molte persone: si pensi, ad esempio, al moltiplicarsi delle manifestazioni di solidarietà e al grande impegno degli Ordini professionali.

Inoltre, la ricerca scientifica ed il grande impegno degli operatori sanitari (per i quali è stata proposta la candidatura al premio Nobel per la Pace 2020) hanno permesso di scoprire nuovi approcci terapeutici e nuove strategie preventive e hanno consentito di accumulare un notevole corpus di conoscenze sul COVID-19, sui suoi meccanismi d’ azione e sui suoi possibili strascichi a medio e a lungo termine.

Attualmente, la promozione della resilienza nella popolazione generale rappresenta un obiettivo imprescindibile, come sottolineato anche durante gli eventi organizzati nell’ ambito della Giornata Nazionale della Psicologia 2022, dedicata al tema de “I Percorsi della Resilienza” (per approfondire: https://youtu.be/oiqxJuempVI).

In particolare, la promozione del benessere e della qualità di vita nella popolazione generale e nelle persone guarite da COVID-19 rappresenta una nuova sfida per i professionisti della salute, per diverse ragioni. Vediamo più nel dettaglio lo stato dell’arte in materia.

Le diverse “facce” del COVID-19

Diversi studi hanno suggerito come l’infezione da COVD-19 sia spesso associata ad una serie di sequele o “strascichi”, anche quando la malattia viene contratta in forma lieve o perfino asintomatica.

La National Institute for Health and Care Excellence (NICE) ha elaborato, insieme alla Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN) e alla Royal College of General Practitioners (RCGP), delle line-guida ad hoc in materia ((NICE), 2020), proponendo una distinzione tra:

  1. Infezione acuta da COVID-19: presenza di segni e sintomi propri della patologia fino a 4 settimane;
  2. Infezione da COVID-19 sintomatica persistente: presenza di segni e sintomi propri della patologia da 4 a 12 settimane;
  3. Sindrome post-COVID-19: presenza di segni e sintomi propri della patologia che si sviluppano durante o dopo l’infezione da COVID-19, perdurano oltre 12 settimane e non sono spiegabili con una diagnosi alternativa;
  4. Long COVID: presenza di segni e sintomi propri della patologia che perdurano, o che si sviluppano dopo un’infezione acuta da COVID-19. Tale definizione racchiude sia il costrutto di “COVID-19 sintomatico persistente”, sia quello di “sindrome post-COVID”.

Inoltre, numerosi Autori hanno sottolineato la presenza frequente di sintomi neurologici associati all’ infezione da COVID-19, che sembrerebbero costituire un capitolo a sé stante.

È stato pertanto coniato un nuovo termine, “Neuro-COVID”, per descrivere una vera e propria sindrome (ossia un insieme di sintomi) che può comparire al momento della diagnosi di COVID-19 oppure successivamente e che può, dunque, essere caratterizzata da manifestazioni acute (quali alterazioni a carico di gusto ed olfatto, encefalopatia, ictus, neuropatie periferiche) e croniche (quali disturbi visivi, mal di testa, sensazione di “nebbia mentale”, impairment cognitivo, etc.) (Cascella & De Blasio, 2022a; Davis, McCorkell, Vogel, & Topol, 2023; Manfredi, Scelzo, Silani, Ferrarese, & Priori, 2021).

Le possibili sequele a lungo termine del COVID-19

Come abbiamo visto, il costrutto del “Long-COVID” ha una natura composita, poiché racchiude al proprio interno sia quello di “COVID-19 sintomatico persistente”, sia quello di “Sindrome post-COVID”, e definisce la presenza di segni e sintomi propri della patologia che perdurano o che si sviluppano dopo 4 settimane da una infezione acuta ((ISS), 2022).

L’ ampia variabilità dei sintomi (ad oggi ne sono stati identificati oltre 200) e l’ elevata incidenza di questa sindrome (di cui soffrirebbero almeno 65 milioni di persone nel mondo, con un aumento giornaliero dei casi) rendono la sindrome Long-COVID una patologia multisistemica da non sottovalutare, con importanti ricadute sull’ autonomia e sulla qualità di vita di chi ne risulta affetto (Davis et al., 2023).

A tal proposito, sono stati documentati cluster di sintomi molto vari, che possono comprendere ripercussioni sul piano fisico (stanchezza, dolori articolari, disturbi visivi, palpitazioni, dolore al petto, difficoltà respiratorie, tosse, nausea, etc.) e psicologico (ansia, disturbi dell’umore, impairment cognitivo, etc.) e che sembrano colpire maggiormente le donne rispetto agli uomini ((ISS), 2022; Cascella & De Blasio, 2022a; Davis et al., 2023).

Diversi studi effettuati su persone guarite dal COVID-19 hanno riportato sintomi aspecifici (dolori diffusi, malessere, sintomi ansioso/depressivi, disturbi del sonno), mentre altri hanno evidenziato disturbi a carico di gusto e olfatto, dolori muscolari ed articolari diffusi, mal di testa, spossatezza e sensazione di “fame d’aria” (Cascella & De Blasio, 2022a).

Inoltre, alcuni Autori hanno proposto il termine “Neuro-COVID” per descrivere una sindrome che può comparire al momento della diagnosi di COVID-19 (forma acuta) oppure successivamente (forma cronica).

Le condizioni acute di Neuro-COVID sembrano comprendere sintomi neurologici centrali (quali mal di testa, vertigini), periferici (quali dolore ed alterazioni a carico di gusto ed olfatto), muscolo-scheletrici e disturbi psicologici e psichiatrici acuti, mentre gli esiti a lungo termine associati al Neuro-COVID includerebbero sequele sul piano neurologico (quali spossatezza, dolori cronici, crisi epilettiche), psicologico (quali disturbi d’ ansia, dell’ umore, disturbi post-traumatici da stress, disturbi del sonno) e neurocognitivo (quali disturbi a carico di memoria, attenzione, funzioni esecutive) (Cascella & De Blasio, 2022b; Davis et al., 2023; Manfredi et al., 2021; Sena, 2020). Per approfondire, si veda la Figura 2. 

Figura 2: proposta di classificazione dei sintomi del Neuro-COVID (fonte: Cascella & Di Blasio, 2021).

Sulla base di questi dati, è aumentato l’ interesse nei confronti di percorsi di gestione di questa sindrome con un approccio multidisciplinare e sono state recentemente definite le “Buone Pratiche Cliniche per la Gestione e Presa in Carico delle Persone con Long-COVID” da parte dell’Istituto Superiore di Sanità ((ISS), 2022).

I possibili effetti sulle strutture oculari

Anche gli occhi sono stati oggetto di studio da parte di molti Autori, sia per come il COVID-19 li usi come porta d’ingresso nell’ organismo, sia per le conseguenze che lascia nel lungo periodo, anche mesi dopo la guarigione del soggetto.

Il virus entra attraverso il liquido lacrimale, usato come veicolo per infettare le cellule. Per questo motivo da subito gli esperti raccomandavano di disinfettare o lavare bene le mani prima di toccarsi gli occhi.

Diversi pazienti colpiti dal COVID-19 hanno sviluppato delle congiuntiviti, con arrossamento degli occhi, prurito e fotofobia (eccessiva sensibilità alla luce).

Questi sintomi, sebbene molto fastidiosi, non compromettono la visione e tendono a svanire se adeguatamente trattari e con la guarigione dalla malattia.

Gli studi sulla sindrome Long-COVID hanno invece dimostrato possibili danni sulle strutture oculari interne come la retina, da qui l’ importanza del follow-up sui pazienti per osservare il decorso della sindrome e la sua risoluzione. Si è visto che la retina può essere colpita.

Infatti gli esami OCT (tomografia a coerenza ottica, esame non invasivo svolto dal medico oculista per diagnosticare e controllare eventuali patologie della cornea, della retina e del nervo ottico) hanno evidenziato dei cambiamenti retinici, come lesioni a livello delle cellule gangliari, essudati cotonosi causati da microaneurismi e trombi e microemorragie lungo l’ arco retinico, mentre l’ acuità visiva e il riflesso pupillare sono rimasti normali senza subire variazioni.

Figura 3: Esempio di congiuntivite con occhio arrossato (The Lancet)

Sono stati visti stati infiammatori dei vasi sanguigni, che alterano le pareti e lo spessore dei vasi stessi. Altre problematiche oculari derivate dalla sindrome Long-COVID sono l’ occlusione arteriosa retinica e quella venosa.

Nella prima abbiamo un blocco del flusso di ossigeno e la morte cellulare, che provoca la perdita della vista senza stati dolorosi. La seconda aumenta la pressione oculare e provoca una visione offuscata, mentre nei casi più gravi una cecità improvvisa e permanente.

Persone affette dalla sindrome Long-COVID hanno avuto emorragie retiniche con conseguenti buchi nel campo visivo, anche a distanza di mesi dalla guarigione.

Figura 4: Danni a livello retinico (The Lancet)

In ogni caso, gli studi dimostrano che mentre la sindrome Long-COVID ha colpito una percentuale notevole dei guariti, poche persone hanno avuto danni oculari gravi da coronavirus in proporzione al numero totale dei malati.

Le complicanze più gravi si sono sviluppate nei pazienti più a rischio, quelli già affetti da diabete, ipertensione e anomalie circolatorie. Il COVID-19 ha avuto anche un effetto indiretto nefasto, cioè l’ aumento della miopia.

Infatti, nei periodi peggiori della pandemia, moltissime persone hanno trascorso più tempo davanti agli schermi sia per lo smartworking, sia per la didattica a distanza. Queste nuove abitudini hanno ristretto l’ orizzonte visivo e la distanza di sguardo, favorendo la progressione miopica.

Se negli adulti gli effetti sono stati più lievi, a causa di una miopia ormai stabilizzata, nei ragazzi gli effetti sono stati più marcati, perché per loro il periodo della pandemia coincideva con l’ adolescenza, cioè l’ arco di tempo dove lo sviluppo della miopia è più evidente.

Inoltre, più tempo in casa e meno occasioni di socializzare o fare sport hanno aumentato le ore trascorse per svago davanti al computer e allo smartphone, favorendo ancora di più l’ insorgere e il progredire della miopia.

Figura 5: Affaticamento visivo conseguente all’ uso prolungato dei dispositivi digitali (The Lancet)

Visto il gran numero di complicanze, anche gli effetti sugli occhi della pandemia da coronavirus vanno affrontati in modo multidisciplinare. I medici oculisti si occupano delle patologie oculari e delle loro conseguenze sulle strutture degli occhi e sulla visione.

Poiché alcune patologie potrebbero portare a condizioni di ipovisione, è compito del medico diagnosticare il problema e prescrivere un eventuale ausilio ottico per ipovedenti, che sarà fornito dall’ ottico optometrista. Gli ausili possono essere sistemi ingrandenti o filtri fotoselettivi a seconda delle necessità e possono essere anche combinati insieme.

Anche per quanto riguarda la gestione della miopia nei più giovani è fondamentale il dialogo tra l’ oculista e l’ ottico optometrista, dove il primo controlla lo stato di salute oculare nel corso del tempo, mentre il secondo può intervenire con lenti di nuova concezione (oftalmiche o a contatto) che possono rallentare la progressione miopica negli anni della crescita.

Per quanto riguarda le lenti a contatto, il loro uso non aumenta il rischio di contagio. Nulla prova che usare gli occhiali sia più sicuro rispetto alle lenti a contatto e che riduca le possibilità di contrarre il virus, a patto che queste ultime si utilizzino con gli accorgimenti igienici che andrebbero sempre usati, come lavarsi bene le mani e fare una manutenzione corretta delle lenti stesse.

I possibili esiti sul piano neurocognitivo ed emotivo

Come abbiamo visto, l’ infezione da COVID-19 risulta spesso associata ad una varietà di sequele sul piano cognitivo ed emotivo.

In particolare, sono stati riportati esiti cognitivi in percentuali variabili di pazienti con infezione acuta (12%-35%), sintomatica persistente (9%-14%) e con sindrome Long-COVID (5,3%-46,3% dei pazienti a 3-6 mesi e circa 0,6% dei pazienti nel periodo a 6-12 mesi), spesso associati a disturbi dell’ umore (depressione) ((ISS), 2022).

È interessante notare come le sequele cognitive possano essere riscontrabili sia in pazienti che sono stati ospedalizzati, sia in pazienti con patologia meno grave e come vi siano alcune popolazioni cliniche maggiormente a rischio (e.g., soggetti anziani) ((ISS), 2022).

Alcuni studi si sono concentrati su pazienti con infezione acuta da COVID-19 (prevalentemente ospedalizzati) e hanno sottolineato la presenza di disturbi esecutivi, delirium e di disturbi d’ ansia, disturbi affettivi e reazioni acute da stress, con un incremento di nuove diagnosi psichiatriche soprattutto in pazienti giovani (Cascella & De Blasio, 2022b).

La prevalenza di disturbi d’ ansia e depressione, in particolare, tenderebbe a ridursi nel corso del tempo, sebbene possa persistere per diversi mesi in un sottogruppo di pazienti ((ISS), 2022).

Ad ogni modo, bisogna considerare che diversi lavori su pazienti con infezione acuta da COVID-19 presentano alcune limitazioni sul piano metodologico, che rendono difficile trarre conclusioni definitive (Cascella & De Blasio, 2022b).   

Secondo alcuni Autori, già nelle 2-5 settimane successive alla guarigione i pazienti potrebbero presentare performance peggiori, rispetto ai soggetti di controllo, in prove di attenzione selettiva e sostenuta, fluenza semantica e fonemica, memoria episodica e di lavoro unitamente a tempi di reazione dilatati (Dini, Priori, & Ferrucci, 2021).

Inoltre, alcuni studi effettuati nei mesi successivi alla guarigione su soggetti che erano stati ospedalizzati hanno documentato una prevalenza di difficoltà a carico dei processi attentivi, di memoria e della velocità di processamento delle informazioni (Dini et al., 2021).

Inoltre, bisogna sempre tenere presenti le possibili interrelazioni tra sintomi cognitivi ed emotivi: in uno studio preliminare su pazienti ricoverati in terapia intensiva presso l’ Ospedale San Luca di Lucca e dimessi dopo circa 3 mesi, sono emerse alcune correlazioni negative tra abilità di pianificazione e sintomatologia post-traumatica (i.e., più una persona presenta sintomi post-traumatici, peggio ella pianificherà) e tra prove di memoria episodica e sintomatologia ansiosa (i.e., più una persona è ansiosa, peggio ricorderà) (Spadoni et al., 2021, January).  

Infine, un altro possibile esito nel lungo termine sul piano emotivo (frequentemente documentato in pazienti che vengono ricoverati in Terapia Intensiva in seguito all’infezione da COVID-19) è il disturbo post-traumatico da stress (Cascella & De Blasio, 2022b).  

Conclusioni

La situazione pandemica ha impattato su ogni aspetto delle nostre vite, con possibili effetti a livello del singolo, delle famiglie, delle comunità e della società stessa, spalmati nel breve, nel medio e nel lungo termine.

In quest’ ottica, la promozione della resilienza e della qualità di vita della qualità di vita nella popolazione generale e nelle persone guarite da COVID-19 rappresenta una nuova sfida per i professionisti della salute.

In particolare, la presenza di eventuali strascichi multisettoriali in seguito all’infezione da COVID-19, perfino nei casi in cui la malattia sia stata contratta in forma lieve, può avere un forte impatto sul benessere della persona e sulla sua autonomia.

Pertanto, l’ identificazione precoce ed il trattamento tempestivo delle sequele associate al COVID-19 rappresenta una vera e propria sfida per i professionisti della salute e per i Sistemi Sanitari.

Come già avviene in altri ambiti, la ricerca futura sarà indirizzata alla prevenzione primaria (adottare interventi volti a ridurre o l’ evitare l’ insorgenza di un determinato disturbo), secondaria (notarlo per tempo) e terziaria (intervenire precocemente per contenerne l’ impatto) delle diverse complicanze associate all’ infezione da COVID-19, sempre nell’ ottica di un approccio multidisciplinare e personalizzato.

Bibliografia:

(ISS), I. S. d. S. (2022). Buone Pratiche Cliniche per la Gestione e Presa in Carico delle Persone con Long-COVID.  Retrieved from https://www.iss.it/documents/20126/0/BuonePraticheLongCovid.pdf/0100adfa-ff83-0174-4aad-8ec23217cf33?t=1668765945698

(NICE), N. I. f. C. E. (2020). COVID-19 rapid guideline: managing the long-term effects of COVID-19. London Retrieved from wwwniceorguk/guidance/ng188

(WHO), W. H. O. (2020). Pandemic fatigue – reinvigorating the public to prevent COVID-19: policy framework for supporting pandemic prevention and management. Retrieved from Copenhagen: https://apps.who.int/iris/handle/10665/335820

Cascella, M., & De Blasio, E. (2022a). Features and Management of Acute and Chronic Neuro-Covid: Springer.

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Davis, H. E., McCorkell, L., Vogel, J. M., & Topol, E. J. (2023). Long COVID: major findings, mechanisms and recommendations. Nature Reviews Microbiology, 1-14.

Dell’Osso, B., Demartini, B., Benatti, B., Nisticò, V., Girone, N., & Gambini, O. (2021). Psychiatry and psychopathology. In A. Priori (Ed.), Neurology of COVID-19 (pp. 147-176). Milan: Milano University Press.

Dini, M., Priori, A., & Ferrucci, R. (2021). Cognitive dysfunction and rehabilitation. In A. Priori (Ed.), Neurology of COVID-19 (pp. 177-194). Milan: Milano University Press.

Ferrucci, R., Deemartini, B., Reitano, M. R., Ruggiero, F., Nisticò, V., & Priori, A. (2021). Durante un’epidemia. Aspetti psicologici e psicopatologici  legati alla pandemia di Covid-19. Trento: Erickson.

Manfredi, C., Scelzo, E., Silani, V., Ferrarese, C., & Priori, A. (2021). Neurological manifestations: an overview. In A. Priori (Ed.), Neurology of COVID-19 (pp. 45-54). MIlan: Milano University Press.

Sena, W. (2020). Raising the awareness for a possible COVID-19 postinfectious neurocognitive syndrome.

Spadoni, G., Bosinelli, F., Moschini, V., Ricci, D., Modena, A., & Tocchini, S. (2021, January). COVID-19: Is there Relationship between Cognitive Profile, Psychological Status, Physical Impairment and Pharmacological Treatment?  . Paper presented at the XXII Congresso Nazionale della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia (SINPF), Milan, Italy. ePoster retrieved from: https://streaming.congressosinpf.it/eposter/. 

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Vicari, S., & Di Vara, S. (2021). Bambini, adolescenti e Covid-19. L’impatto della pandemia dal punto di vista emotivo, psicologico e scolastico (S. Vicari & S. Di Vara Eds.). Trento: Erickson.

Willen, S. S. (2022). “Languishing” in critical perspective: Roots and routes of a traveling concept in COVID-19 times. SSM – Mental Health, 2, 100128. doi:https://doi.org/10.1016/j.ssmmh.2022.100128

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